Agosti e il senso della lotta, di Bruno Ugolini
E’ Bruno Trentin che guarda se stesso sullo schermo. Come in uno specchio. E’ un Trentin che si emoziona, sorride, commenta. Siamo nel 1999. Ha i capelli bianchi, la barba, gli occhi raddolciti. Quello che appare sullo schermo contrapposto, è il Trentin degli anni Sessanta-Settanta, giovane, impetuoso. Il regista lo ha chiamato a rivedersi, a giudicarsi. Sono trascorsi cinquant’anni, ma non è cambiata la sua passione, la sua voglia di ragionare e convincere gli altri, la sua ricerca di un’utopia possibile. Per il mondo del lavoro innanzitutto. E’ Bruno Trentin che guarda se stesso sullo schermo. Come in uno specchio. E’ un Trentin che si emoziona, sorride, commenta. Siamo nel 1999. Ha i capelli bianchi, la barba, gli occhi raddolciti. Quello che appare sullo schermo contrapposto, è il Trentin degli anni Sessanta-Settanta, giovane, impetuoso. Il regista lo ha chiamato a rivedersi, a giudicarsi. Sono trascorsi cinquant’anni, ma non è cambiata la sua passione, la sua voglia di ragionare e convincere gli altri, la sua ricerca di un’utopia possibile. Per il mondo del lavoro innanzitutto.
Ha avuto una bella idea Silvano Agosti, il regista davvero indipendente, costruendo così il suo documentario sul dirigente sindacale, sotto il titolo “Bruno Trentin, il senso della lotta”. E’ stato presentato ieri in un cinema romano, a cura della Fondazione Di Vittorio e della Fiom-Cgil, il sindacato dei metalmeccanici che Trentin aveva diretto per quindici lunghi anni.
Una proiezione con un pubblico particolare, composto da molti metalmeccanici, molti dirigenti sindacali, a cominciare da Guglielmo Epifani, molti politici, a cominciare da Fausto Bertinotti. E alla fine un lungo, commosso applauso scrosciante. Ma non è un documentario strappalacrime: la commozione veniva a molti nel rivedere pezzi della propria vita e nell’apprezzare le riflessioni di Trentin.
Così succede quando compaiono gli operai della Fatme, famosa fabbrica romana. Sfidano la legge, trasportano in fabbrica il segretario della Fiom. E poi nell’enorme manifestazione di Piazza del Popolo a Roma, nel 1969. E ancora nell’assemblea al palazzetto dello sport di Torino con la prima vittoria quando Gianni Agnelli fu costretto a rimangiarsi la sospensione di 35 mila operai, puniti per rappresaglia antisindacale. Riconosco nelle immagini in bianco e nero personaggi sindacali dell’epoca come Luigi Macario, Alberto Gavioli, Emilio Pugno.
Sono anni di grandi conquiste. Anni (come il 1969) che oggi qualcuno, in previsione del quarantennale, come ha voluto rilevare Gianni Rinaldini (segretario Fiom) vorrebbe far passare come anni di pazzia generale, fatti solo di stragi e di bombe. E invece sono anni che hanno cambiato la società italiana, hanno portato nei luoghi di lavoro germi di democrazia. Germi che, tra parentesi, in questi stessi giorni si vorrebbe picconare, attraverso l’instaurazione di “modelli” autoritari nel sistema contrattuale. Anni, come ripeterà Trentin nel film di Agosti, che avevano visto una sinistra spesso incerta, incapace di leggere la realtà di quei sommovimenti, le domande di cambiamento che proponevano. E che non riguardavano solo miglioramenti economici. Erano spesso “domande di libertà”.
Silvano Agosti ha saputo dare forma e sostanza alle ossessioni trentiniane. Incalza il suo autorevole interlocutore, con domande non banali. Sembra dire. “Vedi com’eravamo, com’eravate e come siete oggi!”: Sembra voler contrapporre un passato glorioso a un presente amaro. Il “vecchio” Trentin guarda se stesso, così come appare cinquanta anni prima, ma non raccoglie la provocazione. Anzi invita a osservare i fenomeni nuovi. Cita i giovani che operano nel volontariato, nuove energie che si muovono nelle città. Magari è finita l’attesa del salto rivoluzionario ma c’è una diffusa voglia di cambiamento. Bisogna saperla interpretare e guidare.
Anche gli obiettivi di quel lontano passato, quando gli studenti gridavano “potere operaio”, magari pensando solo a se stessi come protagonisti, non sono scomparsi. Oggi è rimasta la voglia di partecipazione. E magari “potere” significa “sapere”, impadronirsi dei mezzi della conoscenza ed essere informati sul proprio lavoro, sull’impresa nella quale si trascorre la maggior parte della propria esistenza. Chiedo a Silvano Agosti, amico e regista: è questo il “senso della lotta”, come recita il titolo del film? Mi risponde così: “Per lui il senso della lotta era un Per piuttosto che un Contro”. E’ la lezione di Trentin.
Mentre già si annunciano altri appuntamenti, per ricordarlo degnamente e soprattutto per capire l’attualità del suo pensiero. Come ha annunciato Carlo Ghezzi, il presidente della Fondazione Di Vittorio, il 25 ottobre avrà luogo un convegno nazionale (tra i relatori Jacques Delors) e nell’occasione sarà presentato un altro film, a cura di Franco Giraldi, questa volta dedicato all’intera esistenza di Bruno. Così rivive ancora, a un anno dalla sua scomparsa, il giovanissimo partigiano, il dirigente dell’autunno caldo e poi delle concertazioni negli anni Novanta. Con la sua coerenza, spesso misconosciuta. Da destra e da sinistra.