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Quei giorni alla Fiat con Bruno Fernex, di Giovanni Destefanis

Pubblichiamo qui l'intervento di Giovanni Destefanis   al convegno svoltosi a Torino il 19 dicembre con interventi di  Renato Lattes, Giancarlo Quagliotti, Tom Dealessandri, Paolo Franco, Renzo Gianotti, Rocco Larizza, Saul Meghnagi, Stefano Musso, Iginio Ariemma, Carlo Callieri, Gianprimo Cella, Nino De Amicis, Fabrizio Loreto), Pietro Marcenaro, Riccardo Terzi.
Ho incontrato Bruno Trentin tra la metà degli anni ’50 ed i primi  del ’60, nella vecchia sede della Camera del Lavoro di Corso Galileo Ferraris. Facevo parte  della quarantina di membri di Commissione  Interna della Fiom alla Fiat che si riuniva settimanalmente con i dirigenti della organizzazione torinese. Si trattava dello scambio di informazioni, studio e ricerca delle iniziative per uscire dalle condizioni di cattività in cui ci trovavamo, superstiti di una sconfitta sindacale, quella del 1955, aggravata dalla guerra fredda, nell’ isolamento della divisione sindacale e della discriminazione  politica. Pubblichiamo qui l'intervento di Giovanni Destefanis   al convegno svoltosi a Torino il 19 dicembre con interventi di  Renato Lattes, Giancarlo Quagliotti, Tom Dealessandri, Paolo Franco, Renzo Gianotti, Rocco Larizza, Saul Meghnagi, Stefano Musso, Iginio Ariemma, Carlo Callieri, Gianprimo Cella, Nino De Amicis, Fabrizio Loreto), Pietro Marcenaro, Riccardo Terzi.


Ho incontrato Bruno Trentin tra la metà degli anni ’50 ed i primi  del ’60, nella vecchia sede della Camera del Lavoro di Corso Galileo Ferraris.
Facevo parte  della quarantina di membri di Commissione  Interna della Fiom alla Fiat che si riuniva settimanalmente con i dirigenti della organizzazione torinese. Si trattava dello scambio di informazioni, studio e ricerca delle iniziative per uscire dalle condizioni di cattività in cui ci trovavamo, superstiti di una sconfitta sindacale, quella del 1955, aggravata dalla guerra fredda, nell’ isolamento della divisione sindacale e della discriminazione  politica.

A volte, raramente, venivano Vittorio Foa, e anche Fernando Santi, della  Fiom e della CGIL Nazionale. Poi,con frequenza maggiore, Bruno Trentin ; allora,  credo, all’ ufficio  studi a Roma.  Una partecipazione più diretta e specifica, la sua, alle vicende di Torino e della Fiat. Piuttosto silenzioso e riservato dedicava ai nostri racconti, analisi, opinioni, l’attenzione assorta che gli era propria, ponendo qualche interrogativo di approfondimento.  Oggi la definirei un’appropriazione critica, con beneficio di inventario da parte sua, di un politico e studioso che segue la sua strada, con la sua dotazione, fuori da schemi approssimativi, con un ampio raggio di conoscenze da noi vagamente percepito. Un po’ imbarazzante e impegnativo, almeno per me all’epoca.

Trentin stabilì un rapporto molto stretto e fraterno con i compagni che venivano sostituendo la generazione dei dirigenti della Liberazione: Giovanni Roveda, Giovanni Carsano,  Mario Montagnana,altri. I loro nomi: Egidio Sulotto, Aventino Pace, Sergio Garavini, Gianni Alasia, Emilio Pugno; e con Bruno Fernex, col quale nascerà una particolare affinità per vocazione e storie personali  a cui accennerò.

Nel 1962, la Fiom  mi chiese di uscire dalla fabbrica  - dove ero entrato nel ‘44 - e, tra le prime mansioni esterne - accompagnai Bruno Trentin  nella città in fermento, per quel contratto nazionale di lavoro dei metalmeccanici.  La primavera preludeva ai giorni tumultuosi della rivolta di giugno alla Fiat, lo sciopero di massa, dopo nove anni di acquiescenza e subordinazione, con l’inizio di una ripresa operaia che aprirà la “stagione d’oro” sindacale esauritasi nell’ ’80. Presto sono trent’anni.

Con gli altoparlanti sulla “capote” della utilitaria andammo incontro ai cortei che confluivano dalle fabbriche del borgo San Paolo in Piazza Sabotino , dove si teneva il comizio finale.  Venivano in testa quelli della Lancia, i più numerosi, capeggiati da Elio Cicchero, Giovanni Micheletto, Riccardo Bollito, Piero Mollo, tra i licenziati o al reparto confino, che si stavano prendendo una bella soddisfazione. Esiste - ancora recentemente pubblicata - la foto d’epoca, con B.T. che insieme al dirigente della CISL Borra parla contro il tentativo di accordo separato tra Fiat e Uil dell’epoca e sul palco di fortuna  campeggia il cartello: “ Alla Fiat  il ghiaccio è rotto”.  Credo sia stato il suo primo incontro con gli operai torinesi in un’occasione straordinaria di massa e di tensione sindacale.

Bruno Trentin Segretario nazionale della Fiom continuò la già stretta relazione col gruppo torinese in una dialettica aperta e schietta, con una stima profonda reciproca da compagni di quel tempo.  Bruno Fernex divenne, con l’altro torinese, Guglielmino, il perno dell’ ufficio sindacale nazionale a Roma, la prima spalla di Trentin.   Al centro della elaborazione della lunga stagione dei contratti innovativi, della contrattazione articolata aziendale, delle prospettive unitarie che si affermeranno - e si fermeranno - con la FLM.  Ne parleranno altri.



Ancora qualche ricordo: lavoravo per la Fiom, dopo la Fiat, intorno alla Olivetti, in quel d’Ivrea. Chi ha lavorato in Fiat e in quelle condizioni - anni 50 - era in grado di cogliere l’ eccezionale diversità di dignità e civiltà del lavoro alla Olivetti, la cui eco si sente ancora debolmente nella triste celebrazione del centenario in corso… .

Trentin , secondo me - è una opinione- stava un po’ alla larga dall’allora secondo gruppo industriale  privato del paese e dalla sua originalità anomala. Certo l’interesse per la Fiat era dominante. Forse non voleva avallare con una presenza troppo esposta alla Olivetti gli  aspetti obbiettivamente paternalistici insiti nel dirigismo”illuminato” eredità di Adriano Olivetti, che permanevano con l’aziendalismo avvolgente dell’“enclave”e le utopie di “Comunità”...

Forse era informato molto più di noi dai rapporti d’amicizia di antica data azionista  con Bruno Visentini, allora nominato presidente, sulla situazione di precarietà finanziaria che preludeva all’ incerto destino e nelle incognite del gruppo di intervento con l’ingresso della Fiat e Mediobanca al comando, dopo l’aggravarsi della situazione debitoria emersa anche in conseguenza della avventura elettorale fallita di Adriano  Olivetti.  Ma, sollecitato dagli incontri con i nascenti delegati di reparto, Trentin era in grado di cogliere ed indicare con  la sua grande lucidità le contraddizioni, i nodi critici, i varchi, di cui si potevano forzare i margini per
“esportare”i risultati  più avanzati del conflitto e della contrattazione lì - alla Olivetti - possibile, e trasferirli altrove, nella categoria…
La ricomposizione del lavoro contro la parcellizzazione dequalificante; la rotazione delle mansioni, le pause, il diverso rapporto tra operai e tecnici e impiegati - una delle spine più dolenti alla Fiat - la democrazia delle assemblee in fabbrica, ed anche il senso dell’unico Consiglio di Gestione sopravissuto, pur relegato solo alla cogestione dei servizi sociali, per altro avanzati, i cui limiti andavano semmai ricuperati ed estesi nella conquista dei diritti di informazione ed interventi generali, nella cosiddetta prima parte dei contratti nazionali ed affidati ai Consigli di Fabbrica.

Certamente fu tra i più consapevoli del valore della ricerca e produzione  elettronica ed informatica, non sostenute dall’ interesse ed intervento nazionale e cedute alla General  Electric che Valletta aveva indicato come  “il neo da eliminare”…(per non permettere di dirottare diversamente dalla Fiat l’eventuale  sostegno dello Stato…; per sottovalutazione dell’ enorme importanza delle prospettive del settore…nella stessa produzione automobilistica; e per subordinazione alla rigida divisione internazionale del lavoro imposta dagli americani…).

Con Trentin , Paolo Franco, e Emilio Pugno,siamo entrati poi da un cancello di Corso Tazzoli, verso l’ enorme platea che attende il suo comizio sulla pista di collaudo della Mirafiori e sancisce il diritto della assemblea sul luogo di lavoro.

In qualche viaggio Torino-Roma e viceversa, ho apprezzato con altri il Trentin che sospende le letture o gli appunti abituali e racconta a sorpresa eleganti barzellette all’ inglese… Gli ultimi contatti strettamente personali, negli anni ’80, riguardano la sollecitudine con cui telefonava per sapere, da chi pregava d’informarlo, non potendo venire di persona, sulle condizioni del suo compagno di lotta e studio, Bruno Fernex, nella lunga degenza, senza speranza, presso la casa della Comunità ebraica  di Torino.

Qualche tempo dopo, Segretario della CGIL, volle che nella cittadina dei colli romani dove Fernex era vissuto, si invitassero, in una affollatissima rievocazione, centinaia di studenti, insegnanti, dirigenti sindacali delle tre organizzazioni ed autorità pubbliche.  La lezione politica aveva per filo conduttore la difficilissima trasmissione dell’esperienza tra le generazioni.

Nel suo intervento appassionato, a ben vedere, si sentiva il bisogno di trasferire l’eredità che avevano in comune. L’uno, il padre di Trentin, Silvio, esule antifascista  tra i pochi docenti che non accettarono il ricatto del giuramento di fedeltà al regime per poter lavorare.  Aldo Fernex, tra i perseguitati dalle leggi razziali. Trentin partigiano in Francia, i Fernex partigiani in Val di Lanzo: il padre, in montagna morirà.  La radice profonda dei loro legami di vita, famigliari, politici, nella CGIL, nella aspirazione unitaria della F.L.M. e con CISL e UIL.

L’ultimo incontro con Trentin è stato a Torino in occasione della campagna elettorale per le elezioni europee in cui fu eletto. Mi auguro con voi che anche il suo  contributo in quella sede sia diffuso, conosciuto e valorizzato.

C’è la crisi che sappiamo con le cause e conseguenze che ci vengono addosso in Europa. Paul Krugman (la “Repubblica”, 16/12/08 ) scrive che i senatori U.S.A. delle lobby conservatrici che hanno respinto in prima istanza l’ intervento di sostegno dello Stato all’ industria dell’ auto l’hanno motivato come una “opportunità”- per gli interessi che rappresentano - di :“Sparare un primo colpo contro la mano d’opera organizzata…”. I sindacalizzati. Questo ci ricorda che tra le nostre opportunità urgenti c’è quella del ruolo e coordinamento delle forze disponibili all’ unità per una prospettiva di sindacato europeo all’ altezza della situazione… O è un utopia?