'Tu sei un maestro' di Dario Missaglia
Questa è la sintesi dell’intervento di Dario Missaglia, responsabile Education della FDV, alla presentazione del “Diario di guerra”, Roma 9 ottobre 2008 (alla presenza di Pietro Ingrao)
L’idea di presentare il “diario di guerra” in una scuola, tra tanti giovani, sarebbe piaciuta molto a Bruno Trentin. I giovani, la scuola, il sapere, la conoscenza, sono stati infatti pilastri fondamentali dei pensieri e della elaborazione di Bruno Trentin.
Questa è la sintesi dell’intervento di Dario Missaglia, responsabile Education della FDV, alla presentazione del “Diario di guerra”, Roma 9 ottobre 2008 (alla presenza di Pietro Ingrao)
L’idea di presentare il “diario di guerra” in una scuola, tra tanti giovani, sarebbe piaciuta molto a Bruno Trentin. I giovani, la scuola, il sapere, la conoscenza, sono stati infatti pilastri fondamentali dei pensieri e della elaborazione di Bruno Trentin.
Ricordo quando nel novembre 1989 Bruno venne al Direttivo nazionale della CGIL Scuola riunito alla sede del Kirner a Roma per aprire la fase costituente della Unione degli Studenti promossa dalla CGIL. Ricordo bene il suo intervento come sempre analitico, lucido, sferzante talora verso le associazioni politiche giovanili. Un intervento che scommetteva sulla partecipazione diretta dei giovani studenti a prendere in mano il loro futuro, conquistando sul campo una autonomia di pensiero e di azione. Al termine, dialogando con lui, gli dissi “ Tu sei un maestro”. E per me che vengo dalla scuola elementare questa era la parola più profonda, più densa di significato che io potessi rivolgergli.
Bruno ha costituito per me uno degli incontri fondamentali della mia vita. Fu lui a decidere sul mio nome come segretario generale nel 1989. Un viaggio nella CGIL che sarebbe durato a lungo, ben oltre la sua presenza ai vertici della confederazione ed anche ben oltre ogni mia personale aspettativa. Lungo quegli anni si stabilì un rapporto speciale. Speciale perché pur nella cadenza a volte lunga delle occasioni di incontro,esso viveva di una forte carica affettiva e culturale che era reciproca e sentivo palpabile. Incontrarsi era ogni volta riprendere, anche a distanza di mesi, un dialogo già aperto. E quel dialogo mi manca moltissimo.
Bruno educatore, dunque perché tali erano alcune caratteristiche del suo pensiero e del suo agire.
- Una vena pedagogica sempre presente: la dimensione della ricerca ( studi, analisi, le sue relazioni e conclusioni al Comitato Direttivo della CGIL erano vere e proprie lezioni di storia e di politica), sempre inseparabile da una forte tensione etica che seppe riversare sulla CGIL in un momento difficilissimo della sua storia ( l’89 con tutte le sue conseguenze a sinistra).
- “ Il sindacato dei diritti e dell’etica della solidarietà”. Mai credo un Congresso della CGIL abbia vissuto un profilo così alto dal punto dio vista politico, teorico ed etico. Il Contributo di Trentin a quel congresso rappresentò una ricchezza per tutta la sinistra che attinse a piene mani da quella elaborazione, senza mai trarne le coerenti conseguenze. Bruno era perfettamente consapevole di tutto ciò e non nascondeva la sua amarezza. Una amarezza che non si trasformò mai in rinuncia o chiusura in se stesso. Senza clamori, senza gesti plateali, Bruno restò fino all’ultimo testimone delle proprie convinzioni al servizio di una sinistra smarrita ed incerta. Pesava a Bruno questa solitudine, questa crisi della politica come progetto. Ma il pensiero di abbandonare non lo ha mai sfiorato: “l’utopia della vita quotidiana”, del cambiamento possibile “qui ed ora” era il chiodo che continuamente martellava di fronte al succedersi di tante improvvisazioni e strumentali elaborazioni.
- La sua infaticabile battaglia contro gli estremismi verbali, talora dilaganti nella dialettica sindacale e politica, preludio molto spesso di tutti gli accordi di basso profilo che Bruno vivisezionava implacabilmente in ogni riunione.
- Il suo continuo guardare avanti a partire dalla riflessione profonda e attenta del presente, investigare i processi di trasformazione del lavoro alla ricerca continua di spazi di libertà e di autonomia della persona che lavora.
- La centralità della persona in luogo di una supposta centralità “ delle masse”; divergenza non da poco con una lunga tradizione del pensiero della sinistra, in cui erano visibili le tracce della riflessione sul pensiero di Maritain e di Mounier).
Ed infine, voglio sottolinearlo, il suo rapporto con “ il potere”. Intendo per potere quella difficile e pericolosa condizione in cui viene a trovarsi chi svolge, con grande riconoscimento sociale, un ruolo di prestigio. Bruno Trentin è stato un grande leader, carismatico, con una personalità molto forte. La sua autorevolezza era profonda e percepita. Per queste ragioni Bruno fu molto inseguito dalla stampa e dalle televisioni. Erano gli anni in cui iniziava ad emergere il culto dell’apparire, la suggestione del passaggio mediatico.Bruno sfuggì a tutto ciò con il suo stile discreto e quando costretto dagli eventi non potè in alcune occasioni rifiutare di comparire, tendeva a ritrarsi: parlava a testa bassa, senza ricercare l’obiettivo della telecamera, quasi volesse far vivere soltanto la voce per comunicare un messaggio; lui che nei direttivi e nelle assemblee ti inchiodava con lo sguardo e il rigore delle sua argomentazioni sempre appuntate in una molteplicità di fogli scritti.
Non conoscevo molto della sua giovinezza; il suo riserbo del resto era quasi insuperabile. Per questo ho letto davvero con entusiasmo e commozione la bellissima presentazione di Iginio Ariemma al “ diario di guerra” e le sue interviste recuperate nel libro “ Dalla guerra partigiana alla CGIL” edito da Ediesse.
Il “diario” è un libro straordinario perché scritto da un diciassettenne scaraventato dagli eventi sullo scenario più tragico del XX secolo. Si legge, nettissima, la rilevanza della figura del padre, Silvio Trentin, figura di tutto rilievo dell’antifascismo . Ne farà cenno Bruno nella “lectio magistralis” alla Università di Ca’ Foscari ma non mancano i cenni anche nel “diario”. Cenni che confermano il ruolo fondamentale di questo rapporto con il padre ma anche la dinamica generazionale che lo investe: Bruno vuole crescere, camminare con le sue gambe, rompendo quel cordone ombelicale insieme così forte e così ingombrante.
Nel “diario” Bruno è un giovane con una grande sete di sapere, di conoscere. Colpisce il puntiglio, il rigore e la ricerca di sistematicità dei suoi appunti ordinati per rubriche e meticolosamente corredati da fonti informative ( ritagli di giornale, agenzie).Un metodo che Bruno porterà con sé in tutta la sua vita e nel suo stile quotidiano di lavoro. La sete di conoscenza è inseparabile dal bisogno di essere protagonista, di non stare con le mani in mano, fino ai limiti della insofferenza; una condizione che lo porterà spesso a rischiare e a mettere a rischio anche la libertà del padre.
Il “diario di guerra” è la testimonianza di un giovane che si avvicina alla Resistenza. E se la scuola deve essere innanzitutto il luogo per comprendere la contemporaneità, quel libro offre ai giovani una opportunità importante per comprendere quegli eventi che segnarono non solo la fine della dittatura ma anche l’inizio di una nuova fase della storia. Quella appunto in cui sono nati i giovani d’oggi ai quali troppo spesso è negata questa consapevolezza, in nome di una scuola che preferisce “non compromettersi” con il presente e che invece proprio sulla contemporaneità, sulla riflessione critica intorno a questa fase di inizio secolo, molto dovrebbe puntare per promuovere la formazione dei giovani.
Bruno educatore, educatore laico. Ricordo quando in occasione della Intesa tra la Conferenza episcopale e il Ministro Falcucci ( dopo la revisione del Concordato ad opera di Craxi) sulla ora di religione, esplose nel Paese la nota querelle. Anche allora il PCI restò in grande imbarazzo , sospeso tra una parte minoritaria animata da un profondo anticlericalismo di stampo ottocentesco e una maggioranza chiusa nella tradizione togliattiana di non-conflittualità con il Vaticano.
Anche in quella circostanza Bruno non ebbe tentennamenti e firmò la petizione del sindacato scuola che chiedeva la facoltatività dell’insegnamento confessionale che poi sarebbe stata riconosciuta da una sentenza storica della Corte Costituzionale. Una sentenza, nei fatti, tuttora disapplicata, ma questa è un’altra storia. Ancora una volta Bruno aveva anteposto la libertà della persona e la laicità dello Stato Repubblicano ad ogni convenienza politica. Aveva colto, ancora una volta, il valore di una scuola libera e laica che deve saper coltivare la formazione critica della persona.
Iniziava così in Bruno quella elaborazione che lo avrebbe portato ad affermare la conoscenza come diritto fondamentale della persona..La conoscenza come nuovo spazio della libertà ed autonomia del lavoratore nei confronti del lavoro che cambia e come unica chiave per interpretare in maniera non ideologica l’invadente e strumentale affermazione della categoria della “flessibilità” come nuovo strumento per un governo non regolato e unilaterale del mercato del lavoro.
. Pareva a Bruno che in questa dialettica incessante tra subalternità ed autonomia che segna ogni rapporto di lavoro subordinato, la conoscenza fosse la risorsa per spostare gradualmente a favore della autonomia del lavoratore il senso del rapporto di lavoro. L’attenta lettura ed interpretazione delle opere e delle esperienze di B. Schwartz e A. Sen , certamente furono di grande sollecitazione . La conoscenza è intesa da Bruno nel senso più ampio perché essa non è più rivenibile in un solo luogo. La conoscenza vive nel lavoro che cambia, nelle imprese, nelle molteplici esperienze associative, nella innovazione tecnologica ed informatica che si diffonde. La scuola non esaurisce dunque la conoscenza ma ne rappresenta un presupposto fondamentale. E’ nella scuola che prendono forma i diritti delle persone, le pari opportunità, si costruiscono le condizioni per una eguaglianza sostanziale.Una scuola che deve essere capace di guardare fuori, liberarsi del patto perverso tra amministrazione e amministrati, dislocarsi sulle frontiere della trasformazione sociale e del lavoro. La scuola delle 150 ore, con il suo patrimonio di umanità, di rinnovamento didattico e culturale era il suo modello di riferimento.
Per queste ragioni le politiche della scuola e della formazione costituirono un punto fondamentale della elaborazione di Trentin e della sua azione in CGIL
Anche in questo Bruno incrociava resistenze durissime.Resistenze di un vetero industrialismo che residua nel sindacato e che relega la scuola e le politiche della formazione tra gli aspetti marginali della politica sindacale. Una questione da “pubblico impiego”, da prendere con le dovute cautele verso un mondo segnato dalla chiusura corporativa e dalla autoreferenzialità. Ma anche resistenze di una parte della sinistra che pensa ancora con le categorie di Gentile e immagina il sapere “vero” come un contenuto distante e separato dalla realtà, dalla esperienza, dal lavoro.
Per queste ragioni Bruno era convinto, e agì di conseguenza, che la CGIL dovesse assumere una titolarità in proprio sulle politiche formative, rendendo più stringente la dialettica con il sindacato di categoria ed aprendo verso una dimensione più ampia della formazione come contenuto necessario e vincolante di tutte le politiche sindacali. La”formazione” avrebbe avuto il suo riconoscimento come diritto fondamentale della persona soltanto nel momento in cui , al pari del salario e dell’orario, avesse costituito la parte più rilevante delle piattaforme rivendicative e degli accordi sindacali. In quella “materialità sindacale” da conquistare e rendere trasparente Trentin vedeva il “lavoro che pensa” fuoriuscire dalla gabbia del fordismo senza consegnarsi acriticamente alla rivoluzione tecnologica e alla celebrazione della società di Mercato.
Le scarse acquisizioni, ancora oggi, di queste esiti misurano tutta la distanza con quanto Bruno ha cercato di fare a partire dal famoso accordo di luglio del ‘93. Ma i semi sono stati preziosi ed hanno aperto non solo stagioni di elaborazione e di produzione legislativa prima impensabili ( penso agli accordi confederali con Confindustria e Governo del 96 e del 98, in cui le politiche della formazione e della conoscenza per la prima volta diventano il cuore degli accordi generali per lo sviluppo del Paese) ma hanno soprattutto creato una nuova sensibilità, un pensiero che è destinato ancora a produrre i suoi frutti anche nella politica contrattuale del sindacato.
In questa insistenza sul sapere e la conoscenza come diritto fondamentale per tutta la vita e non solo come “competenza professionale”, Bruno riscopriva così, anche da questo versante, il suo legame profondo con il pensiero e la vita di G. Di Vittorio.
Trentin, con una vita ed una esperienza così diversa da quello che riconobbe come un maestro fondamentale della sua vita, ci ha trasmesso così questa infaticabile passione per la ricerca, il sapere, come inseparabili da una tensione etica e politica al cambiamento possibile, “qui e ora”, come avrebbe, ancora una volta, sottolineato.
A ciascuno di noi non resta che interrogarsi se oggi, di fronte al crollo del liberismo senza regole, del capitalismo finanziario, e della necessità di un ritorno alla “economia reale”, al lavoro concreto, le sue idee non acquistino una nuova attualità da raccogliere senza incertezze.
Dario Missaglia
Responsabile “Education” Fondazione Di Vittorio