Bruno Trentin, una vita di studi e di lotte (Piero Bolchini)
Questo è il testo della "Laudatio" pronunciata dal professor Piero Bolchini, ordinario di storia Economica, in onore di Bruno Trentin, il 13 settembre del 2002 in occasione dell’assegnazione della laurea honoris causa. Tale intervento costituisce anche un’accurata biografia della vita di Trentin.
Ci siamo riuniti in questa occasione solenne per onorare nella persona di Bruno Trentin il dirigente sindacale e, al contempo, lo studioso dell’evoluzione del mondo del lavoro e, più in generale, dei rapporti economici , sociali e politici che li condizionano. Questi aspetti, nel suo percorso, risultano intrinsecamente legati, poiché le esperienze di direzione politica e sindacali sono state rielaborate in apporti rivolti al confronto e d’altro canto proprio la riflessione scritta è servita ad individuare ritardi e proporre nuovi indirizzi per l’azione politica e sindacale.
Bruno Trentin nasce il 9/12/1926 a Pavie, in provincia di Tolosa in Francia, dove il padre Silvio, docente di Ca’ Foscari in Diritto Amministrativo, deputato al Parlamento nel 1919, aveva trovato asilo politico, per non prestare obbedienza al nascente regime. La figura del padre, federalista e liberale, come i rapporti con il ristretto circolo dei fuoriusciti , dai fratelli Rosselli alla famiglia Nitti ai repubblicani spagnoli, ebbero influenza rilevante ancorché contrastata nella formazione del giovane Trentin. La permanenza della intera famiglia in Francia si conclude con la partecipazione alla resistenza e dopo l’8 settembre del 1943 con il rientro in Italia. Catturato dai fascisti, Silvio Trentin muore prigioniero il 12 marzo del 1944, mentre Bruno avrebbe proseguito la lotta nelle file di Giustizia e Libertà, accanto a Leo Valiani.
Terminato il conflitto, si reca ad Harvard con una borsa di studio e si laurea in giurisprudenza a Padova nel 1949, con una tesi dal titolo "Giudizio di equità nei rapporti commerciali, con particolare riferimento alla dottrina della Corte Suprema degli Stati Uniti", relatore prof. Opocher. Nello stesso anno entra a far parte dell’Ufficio studi della CGIL, allora diretto da Vittorio Foa, dove lavora in contatto con Giuseppe Di Vittorio. L’anno successivo si iscrive al PCI, partecipando alla vita del partito e ai suoi organi dirigenti; eletto deputato nel 1962, si dimetterà per la sancita incompatibilità tra cariche sindacali e parlamentari. Nei suoi primi contributi (cfr. V. Foa — B. Trentin, “La CGIL di fronte alle trasformazioni tecnologiche nell’industria italiana”, Annali Feltrinelli, 1960, Milano) emergono temi come la condizione operaia in rapporto alla generalizzazione dei sistemi fordisti nell’organizzazione del lavoro; ovvero, l’influsso di ideologie allora chiamate "neocapitaliste" di derivazione "new-deal" e dalla scuola istituzionalista su parte del pensiero di matrice cattolica nell’avvento del centro-sinistra in Italia e la sfida posta al "marxismo militante" (Le dottrine neocapitalistiche e l’ideologia delle forze dominanti nella politica economica italiana, Istituto Gramsci, Tendenze del capitalismo italiano, Editori Riuniti, Roma,1962). Altro filone di approfondimento fu quello del ruolo del sindacato, in particolare dopo la sconfitta della CGIL alla FIAT nel 1955 e le lacerazioni provocate all’interno del movimento operaio dai drammatici avvenimenti del 1956 nell’Est Europeo, che si concludono nella ricerca, per il momento solo proposta, dell’autonomia del sindacato (cfr. in proposito, A. Guerra, B. Trentin, "Di Vittorio e l’ombra di Stalin. L’Ungheria, il P.C.I. e l’autonomia del sindacato", Ediesse, Roma,1997).
Nel 1962 Bruno Trentin venne eletto alla carica di segretario della FIOM: una fase che vede da un lato il progressivo esaurimento della fase di espansione dell’economia mondiale, dall’ altro l’aumento delle attese dopo gli anni del cosiddetto miracolo economico, anche per l’avvio al lavoro di fabbrica di nuove generazioni. Lo scoppio di quella che sarà una lunga stagione di lotte, pose in discussione non solo gli assetti salariali e normativi , ma anche la capacità di rappresentanza da parte dei sindacati. Nel ripercorrere quelle vicende (B. Trentin, Autunno caldo: il secondo biennio rosso, 1968-1969, intervista di G.Liguori, Editori Riuniti,Roma, 1999) porrà in evidenza come le divisioni tra i sindacati e le stesse piattaforme rivendicative, malgrado lo sforzo nei confronti della contrattazione articolata, segnassero un ritardo evidente rispetto alla dinamica degli eventi. Sotto la spinta della base, i sindacati dei metalmeccanici recuperarono la guida del movimento, firmando un nuovo contratto che sanciva la fissazione dell’orario di lavoro a 40 ore settimanali, con una riduzione di 4-5 ore: "un risultato senza precedenti in Italia e in Europa: eravamo in coda passammo in testa", che ribaltava comportamenti convenzionali, come quello di barattare la riduzione degli orari di lavoro con aumenti salariali. Negli anni successivi analoghe piattaforme vennero presentate con successo dai chimici e da altre categorie. Seguirono i contratti che sancivano il diritto alla salute in fabbrica, quello di svolgere inchieste aziendali sulla nocività, la facoltà di tenere riunioni sindacali nei luoghi di lavoro, l’allargamento degli spazi per la contrattazione decentrata, il diritto all’informazione ( B. Trentin, "Da sfruttati a produttori. Lotte operaie e sviluppo capitalistico dal miracolo economico alla crisi", De Donato, Bari).
E’ la cultura dei diritti del lavoratore in quanto persona ed essa si coniuga con nuove forme di rappresentanza collettiva nei luoghi di lavoro. Le Commissioni Interne vennero rimpiazzate dai Consigli dei delegati che avrebbero investito l’insieme delle strutture sindacali, dal tema della democrazia sindacale a quello della unità delle confederazioni. Il gruppo dirigente della FIOM si fece sostenitore di questi istituti, pur non sottovalutando i pericoli da un lato di derive estremistiche e dall’altro di involuzioni corporative. In "Il Sindacato dei consigli" (volume intervista con Bruno Ugolini, Editori Riuniti, Roma, 1980), Bruno Trentin ripercorrerà l’insieme di queste vicende, sottolineando il ruolo di soggetto anche politico acquisito dal sindacato, il superamento di antiche divisioni che avrebbero portato alla unità organica delle federazioni dei metalmeccanici, nel rispetto della diversità delle tradizioni, sotto la sigla della FLM.
Nel 1978 Bruno Trentin divenne segretario della CGIL e nel 1988 assunse la carica di segretario generale che tenne fino al 1994, per poi passare alla direzione dell’Ufficio programma. Infine, nel 1999 venne eletto al Parlamento Europeo , dove fa parte della Commissione per l’Economia. Gli anni ’70 furono caratterizzati da ripetute crisi e da ondate inflazionistiche, dalle difficoltà della grande impresa che comportarono la liquidazione di interi comparti industriali, soprattutto di quelli ad alti consumi energetici, con rilevanti ricadute sull’occupazione. Successivamente, l’avvento di nuove ondate di innovazione tecnologica avrebbero portato a fasi di espansione, intervallate da recessioni e difficoltà finanziarie di diverso genere: la crisi coinvolse anche il sindacato nella difesa dei posti di lavoro, nell’assunzione di politiche di difesa dei redditi da lavoro che si conclusero spesso con vicende contrastate come l’accordo sul punto di contingenza uguale per tutti, o anche con pesanti sconfitte, come la vertenza FIAT del 1980 e il referendum sulla scala mobile. I contributi più significativi di Bruno Trentin riguardano l’elaborazione di strategie sindacali nel tentativo di qualificare i temi del dibattito interno e di stabilire collegamenti tra enunciazioni programmatiche e pratiche quotidiane: sono di questo periodo scritti come "II piano d’impresa e il ruolo del sindacato in Italia" (De Donato, Bari, 1983), approfondimenti comparativi, come P. Perulli, B. Trentin , "Il sindacato nella recessione : modelli e tendente nelle politiche contrattuali in Occidente" ( De Donato, Bari, 1983), o ancora: "Idee e pratica dell’eguaglianza nell’esperienza del sindacato italiano" in "Quaderni di Rassegna sindacale", n.114-115,1985. Le difficoltà dell’economia italiana – e con essa del sindacato- raggiunsero nei primi anni novanta fasi drammatiche: mentre il governo sottoscriveva il Trattato di Maastricht, alla crisi congiunturale si aggiungeva il disastro dei conti pubblici, il discredito della classe di governo, le ripercussioni sulla tenuta dei conti con l’estero. Nel luglio del 1992 un accordo tra governo Amato, Confindustria, CISL e UIL varò un ampio pacchetto di misure , che trovarono forti resistenze in una parte della CGIL (la richiesta di rinuncia a istituti contrattuali come la scala mobile e la contrattazione articolata). Per il segretario della CGIL si pose la alternativa di sottoscrivere gli accordi in contrasto con il mandato del direttivo o di assumersi la responsabilità di far cadere il governo. Nel ricordo di Bruno Trentin: "Un aggravamento della crisi economica e finanziaria, segnata dalle dimissioni del governo, avrebbe costituito un danno per il paese e un danno ancor più grave per i lavoratori. E di questo un sindacato come la CGIL doveva farsi carico , anche a costo di pagare prezzi pesanti". Il 31 luglio, dopo una riunione drammatica che vide la segreteria della CGIL sull’orlo della spaccatura, l’accordo venne firmato, ma il segretario generale presentò le dimissioni, che vennero respinte all’unanimità solo due mesi più tardi, (cfr. "Il coraggio dell’utopia. La sinistra e il sindacato dopo il taylorismo", intervista. a B. Ugolini, Rizzoli, Milano, 1994, p. 165 e seg.).
L’accordo non evitò che due mesi più tardi la situazione precipitasse e che la lira fosse spinta fuori dallo SME. E, tuttavia, il mantenimento dei principi di autonomia, la difesa degli spazi della contrattazione, ma al contempo, l’assunzione di responsabilità nei confronti delle compatibilità da parte del sindacato non fu vana: il governo Ciampi, l’anno successivo, riprese l’intera materia, giungendo a stipulare il 23 /7/1993 un nuovo accordo con le parti sociali che configurava una politica dei redditi, che avrebbe dovuto riguardare non solo il lavoro dipendente, sancendo un unico rapporto di rappresentanza per tutte le categorie del lavoro subordinato e utilizzando strumenti come la fissazione del tasso di inflazione programmato, recuperabile nel caso di sfondamento, l’utilizzo della leva fiscale e il riconoscimento di margini alla contrattazione articolata. L’accordo, sottoscritto da tutte le parti in causa, venne sottoposto all’approvazione delle assemblee di base ottenendo un ampio consenso. Si apriva un nuovo capitolo delle relazioni industriali; al contempo si dava avvio a un nuovo circolo virtuoso, che avrebbe portato all’abbattimento dell’inflazione e al graduale risanamento dei conti pubblici e che doveva, alla fine, sfociare nell’adesione dell’Italia a pieno titolo alla fase costitutiva dell’EURO. L’apporto come responsabile dell’Ufficio Programma prese avvio dalla relazione (pubblicata da Donzelli con il titolo "Lavoro e libertà nell’Italia che cambia", Roma,1994) alla conferenza di programma della CGIL svoltasi a Cianciano dal 2-4 giugno 1994. Due concetti correlati emergono in questa occasione, che diventeranno centrali nella elaborazione di Trentin: in primo luogo "la fine irreversibile del fordismo", considerato, con il taylorismo, come sistema di produzione rivolto a determinare mansioni, tempi di lavoro, gerarchie in maniera autoritaria e burocratica in nome di una falsa neutralità della scienza dell’organizzazione, diretta non solo ad espropriare il lavoratore della sua professionalità, ma anche ad imporre al consumatore prodotti standardizzati, corrispondenti agli indirizzi del produttore. L’altro punto focale è dato dalla rivalutazione del lavoro – in contrapposizione a posizioni rivolte ad affermare la "liberazione dal lavoro" – come fattore di realizzazione delle capacità individuali e collettive, che si manifestano nell’atto della produzione. Proprio la crisi del fordismo, imposta dalle nuove tecnologie come l’informatica e l’automazione e dalla mondializzazione dei mercati, aprirebbe a suo modo di vedere, nuove opportunità, a condizione che esse vengano sfruttate per contrattare nuovi diritti da parte dei lavoratori per la qualificazione permanente del lavoro, per la partecipazione attraverso gruppi autogestiti alla progettazione e all’esecuzione dei progetti, con percorsi come il Job enrichment e la mobilità tra diverse esperienze di lavoro. La flessibilità nell’impiego del lavoro può significare il superamento della stabilità del posto nel rapporto di lavoro subordinato, ma questo deve essere accompagnato dall’estensione dei diritti di tutela a nuove fasce di lavoratori dalla piccola impresa ai contratti a termine e ai lavoratori anziani.
In scritti successivi come "Nord-Sud. Lavoro, diritti e sindacato nel mondo" (scritto in collaborazione con L. Anderson, Ediesse, Roma, 1996), "La città del lavoro. Sinistra e crisi del fordismo" (Feltrinelli, Milano, 1997), "Il lavoro possibile. Prospettive di inizio millennio" (con C. Callieri, Rosemberg e Sollier), "Processo alla crescita. Ambiente, occupazione, giustizia sociale nel mondo neo- liberista" (con C. Ravaioli, Editori Riuniti, Roma,2000) le dimensioni del discorso si ampliano, abbracciando temi nuovi come la società civile, le disuguaglianze su scala mondiale, i diritti della persona dentro e fuori la fabbrica. Emergono fonti di ispirazione nuove, come la revisione del concetto di lavoro astratto in rapporto ai nuovi paradigmi organizzativi, ovvero la rivalutazione del filone del personalismo cristiano e del pensiero libertario. Il crollo del sistema sovietico appare come un’altra faccia della fine del taylorismo (organizzazione della produzione e della società sulla base di regole autoritarie e burocratiche nell’illusione di una crescita illimitata) e al contempo come il tramonto di una strategia del movimento operaio che rinvia la liberazione del lavoro a una fase successiva alla conquista dello stato e alla nazionalizzazione dei mezzi di produzione. Questa fase di riflessione si apre, dunque, all’utopia nella tradizione mannheimiana per una società basata sull’uguaglianza delle opportunità, capace di valorizzare il solidarismo e il dono nella tradizione maussiana, di far uscire il lavoro subordinato dalla condizione di oggetto di rivoluzione passiva e, in generale, di trasformare i deboli in protagonisti consapevoli. E’ una strategia del cambiamento della vita quotidiana, fondata sull’etica, e al contempo capace di individuare i fini e predisporre i mezzi per verificare risultati e di rimettersi in discussione.
Si delinea in tal modo un percorso intellettuale e politico che, per usare un concetto che a suo tempo è stato enunciato da A. Sen, nel rapporto tra uguaglianza e libertà è passato dall’affermazione del primato della uguaglianza a quello della libertà, poiché questa contiene i germi dell’uguaglianza, mentre può non valere la relazione inversa.
Per questi apporti e per onorare nella sua figura l’opera e il ruolo del sindacato nella trasformazione del nostro paese, il Dipartimento di Scienze Economiche ha proposto il conferimento della laurea ad honorem a Bruno Trentin: in modo che questa Università e questa Facoltà, che furono di suo padre, siano anche sue. E noi ci onoriamo di poterlo ritenere dei nostri.
Ca’ Foscari 13 settembre 2002