Commento dati ISTAT Luglio 2018 di Fulvio Fammoni
I dati Istat sull’occupazione del mese di Luglio 2018 vedono un calo di 28 mila occupati, più precisamente un calo di 44 mila lavoratori stabili e un aumento di 16 mila fra tempi determinati e indipendenti equamente ripartito.
Per il secondo mese consecutivo –dunque- cala il numero degli occupati. E’ ancora troppo presto per dire se si tratta di una tendenza ma, più che sufficiente per una seria preoccupazione sulle dinamiche del lavoro in Italia, anche perché la contestualità con il rallentamento dell’economica è significativa.
Si può iniziare a parlare invece di tendenza per quanto riguarda il lavoro a tempo indeterminato, che in un anno cala di -122 mila unità.
Prosegue invece la frammentazione del nostro mercato del lavoro. I contratti a tempo determinato sono a luglio 3 milioni e 86 mila, oltre il 17% del totale dei dipendenti occupati, con una progressione che, sempre nel corso dell’ultimo anno, li ha visti crescere di ben +336 mila unità; una delle dinamiche di crescita più alta a livello europeo.
Perché si rafforza questa tendenza alla precarizzazione del mercato del lavoro italiano?
Le possibili risposte sono molteplici: dal risparmio sui costi legato ai vuoti di attività, alle necessità di una parte di produzione non legata alla qualità del prodotto.
Ma in realtà, come il calo della produzione conferma, quello che sembra prevalere, specialmente nelle imprese di piccole dimensioni, è la scarsa fiducia nel futuro, e quindi, l’idea di scaricare una parte del rischio di impresa sul lavoro.
Lo confermerebbe anche il pessimismo in crescita, sempre nelle rilevazioni Istat, sulla fiducia dei consumatori ed imprese.
Vedremo l’effetto che avranno nei prossimi mesi le nuove norme sul T.D. (e sui voucher) ma sembrerebbe questa una delle possibili letture di una protesta così rigida da parte delle associazioni imprenditoriali su quei provvedimenti.
In ogni caso, questi dati confermano che occorre sempre avere come riferimento, oltre ai dati quantitativi (con una quantità di ore lavorate ancora inferiore al 2008) anche la qualità del lavoro.
Peraltro, gli occupati aumentano davvero solo nella fascia over 50 di +381 mila in un anno (a fronte di un incremento totale dell’occupazione di +277 mila); hanno un forte calo di -146 mila nella fascia 35-49 e un andamento stabile di + 40 mila fra 15-34 anni.
Analizzeremo successivamente in modo più analitico questi numeri (per territorio, genere, età, nazionalità, titolo di studio, ecc.), che vedono comunque una forte penalizzazione delle donne.
Come altre volte, può sorprendere che ad un calo dell’occupazione corrisponda anche un calo della disoccupazione.
In realtà, si conferma una peculiarità del mercato del lavoro italiano, l’altissimo numero di inattivi, con un meccanismo di vaso comunicante fra disoccupazione e inattività (la più alta d’Europa).
Al calo di 113 mila disoccupati corrisponde un incremento di 83 mila inattivi.
Come è noto, all’interno dell’inattività si nasconde una quota non piccola di disoccupazione e di persone che dichiarano di considerarsi disoccupate.
In ogni caso, il dato stesso della disoccupazione (10,4%), pur in calo, resta alto rispetto alla media europea (8,2% nell’area euro e 6,9% nella UE a 28), e nella media del 2018 difficilmente scenderà sotto il 10%, confermando non solo una mancanza di offerta di lavoro adeguata in quantità e qualità, ma anche di politiche attive in grado di far emergere la quota di disoccupazione situata all’interno dell’inattività.